Focus

TRADIZIONE vs INNOVAZIONE

Storia e cultura del rifugio alpino

Luca Gibello

La data simbolo del 1991, anno di ratifica della Convenzione delle Alpi, coincide con una serie di mutamenti di sensibilità. L'accresciuta coscienza ambientalista influenza sia le pratiche del progetto, sempre più attente a ridurre l'impronta ecologica degli interventi, sia le strategie della committenza, che accoglie le nuove costruzioni se esito di demolizioni del preesistente, riqualificazioni od ampliamenti. Così, dopo essere rimasti a lungo esclusi, con il passaggio del millennio i ricoveri di montagna ascendono alla ribalta, anche mediatica, grazie alla loro valenza iconica di landmark; segno forte e singolare - ovvero non più stereotipato - nel paesaggio.

1932: Armando Melis de Villa, progetto per il nuovo rifugio Vittorio Emanuele II° al Gran Paradiso (2732 m) (Laboratorio di Storia e Beni culturali – Politecnico di Torino)

  

Due i principali indirizzi di progetto: l'astrazione geometrica (volumi puri, netti, soprattutto nel caso degli ampliamenti) e la reinterpretazione concettuale dei caratteri del contesto. Denominatore comune è invece l'apertura di generosi squarci vetrati panoramici sulle viste migliori, che espongono in maniera inedita i domestici interni, quasi sempre lignei, alla solenne vastità dell'ambiente esterno. Solitamente, a tale intimo “cuore caldo” fa da contrappunto un “glaciale” involucro metallico ad alte prestazioni, emblema dell'ingaggio con l'ambiente ostile. Ora, a distanza di oltre un quarto di secolo dalla “rivoluzione ambientale” che ha implicato un mutamento di paradigma nei rapporti tra antropizzazione ed alta quota, si può cominciare a trarre qualche bilancio. Con il secondo decennio del XXI secolo si registra un calo degli interventi architettonicamente di spicco, come se fossero in parte venute meno l'istanza dimostrativa e l'”ansia da prestazione” circa l'opportunità di un costruire responsabile, contestualmente accorto ed ecologicamente compatibile. Anche a livello formale, sembra che molte strade di ricerca linguistica siano state battute, consolidando alcuni esiti in precedenza inediti. Così, gli interventi risultano meno eclatanti, ma quei primi “manifesti costruiti” hanno permesso di accrescere le consapevolezze ed allargare l'interesse verso un pubblico più vasto rispetto a quello degli appassionati di montagna. Eppure, nonostante la pubblicistica specializzata, le opere di qualità, l'innovazione tecnologica e le crescenti richieste di comfort sollevate dall'utenza, una parte dell'opinione pubblica e della comunità alpinistica esprime ad oltranza il rifiuto del nuovo, dimostrandosi legata ai valori della tradizione, incarnati nell'edificio squadrato in blocchi di pietra, tetto a due falde, finestre piccole e camerate umide. Ci si chiede allora in che cosa consista esattamente questa tradizione se non, come ci ricorda Gustav Mahler in un ormai citatissimo aforisma, «nella custodia del fuoco e non nell'adorazione della cenere».

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