Focus

PRESIDIO / PATRIMONIO

Storia e cultura del rifugio alpino

Luca Gibello

Inoltre, rifugi e bivacchi sono un prezioso presidio territoriale[1]. Essi “vigilano” sulle terre alte, evidenziandone le mutazioni. Si pensi alle scelte localizzative in funzione della geomorfologia. In certi casi, a distanza di oltre un secolo dalla fondazione, certi ricoveri rivelano ad esempio la colossale ritirata dei ghiacciai, che un tempo li lambivano e che oggi distano decine di minuti di cammino, o si trovano ad oltre un centinaio di metri più in basso rispetto al sito di costruzione. I rifugi sono anche un presidio socio-culturale. Esse infatti veicolano forme di «educazione ambientale» e restituiscono un peculiare modello di sociabilité, legato all'osservanza di una serie di regole più o meno esplicite. Di qui, da un lato emerge l'unicità del modello di accoglienza, non raffrontabile ad altri tipi di ricettività turistica: improntato alla frugalità, che impone spirito di adattamento e disponibilità alla condivisione. Dall'altro, emerge il ruolo chiave della figura del rifugista o custode (termini preferibili al più impersonale “gestore”), capace d'imprimere nella memoria dei frequentatori l'esperienza di un luogo, anche se estemporanea. Si pensi a figure ormai mitiche come Ulysse Borgeat al Couvercle nel Monte Bianco, o a Tita Piaz al Vajolet, o a Bruno Detassis al Brentei nelle Dolomiti di Brenta, vere e proprie icone che rendevano inscindibile l'immagine del rifugio e del rifugista. O ancora, si pensi a certe famiglie che si sono tramandate ereditariamente la “vocazione” della conduzione.

Bruno Detassis nel 1975 di fronte al rifugio Maria e Alberto ai Brentei, Dolomiti di Brenta (2182 m) (foto Gianni Zotta)

    
Inoltre, rifugi e bivacchi sono scrigno di storia e memoria. Sia essa la storia dell'esplorazione delle montagne, a valle della fondazione dei sodalizi alpinistici nazionali, tra 1862 e 1879[2], uno dei cui scopi precipui era proprio la costruzione di ricoveri per i rispettivi soci. Oppure, sia essa la storia alpinistica che tali strutture hanno contribuito a scrivere come punto di appoggio per le ascensioni o come provvidenziale riparo durante tragiche ritirate. O ancora, la storia politica dei territori, rispetto alla quale l'erezione di una capanna testimonia la rivendicazione di un'appartenenza, o la demarcazione di un confine: basti pensare all'uso militare di svariate strutture, non solo durante le guerre mondiali. E infine, soprattutto in area francese e italiana, la memoria di accadimenti o persone (in genere alpinisti, ma anche benefattori od altri) è eternata nelle dedicazioni.

Konkordiahütte in Cantone Berna, Svizzera (2850 m)


Recentemente, il rifugio è diventato specifico oggetto d'indagine nella sua dimensione simbolica e sociologica[3], nonché topos intorno al quale si snodano narrazioni letterarie[4].
Se, ad eccezione di Austria, Germania e Slovenia, dove sono ben più rade, la distribuzione delle circa duemila capanne sull'intero arco alpino è pressoché uniforme, va rilevato come, in passato, le esperienze architettonicamente più rilevanti si siano registrate prevalentemente nelle Alpi Occidentali. Ciò forse è dovuto non solo a una precocità cronologica nell'”assalto ai monti”, ma soprattutto alle condizioni più sfidanti dei contesti: maggiore altitudine media, presenza preponderante dei ghiacciai, lunghezza degli avvicinamenti. Tuttavia, soprattutto nell'arco dell'ultimo decennio, l'ago della bilancia si è decisamente riequilibrato a favore del fronte orientale. Rispetto a tale panorama, va poi ricordata la lungimirante “politica della committenza” adottata dal Club alpino svizzero, grazie al ricorso quasi di prassi allo strumento del concorso di architettura[5].

Foto 2


[1] Annibale Salsa, Il rifugio di montagna come presidio culturale, in Aa.Vv., Guida ai Rifugi del CAI, RCS, Milano, 2013.
[2] Nel 1862 viene fondato l'Österreichischer Alpenverein (ÖAV), nel 1863 il Club alpino italiano (CAI) e il Club alpino svizzero (CAS o SAC), nel 1869 il Club alpino tedesco (Deutscher Alpenverein, DAV) e nel 1874 quello francese (CAF). Va tuttavia notato che il primo sodalizio è nel 1857 quello inglese, l’Alpine Club, che tuttavia non costruisce capanne.
[3] Enrico Camanni, L'incanto del rifugio. Piccolo elogio della notte in montagna, Ediciclo, Portogruaro 2015.
[4] Paolo Malaguti, Il Moro della cima, Einaudi, Torino, 2022; Sofia GALLO, Un'estate in rifugio, Salani, Milano, 2021; Amos Cartabia e Marco Turchetto, Rifugio Bezzi, il gioco della vita, Edizioni A.Car, Lainate, 2016.
[5] Si veda, a partire da p. XX di questa rivista, l’intervista a Ulrich Delang

Immagine di copertina: 1906: inaugurazione del rifugio Quintino Sella nella Dolomiti di Brenta (2272 m) ad opera della SAT, mentre, in secondo piano, si sta ultimando il cantiere del rifugio Francis Fox Tuckett ad opera del DOAV di Berlino (Biblioteca della montagna - Archivio storico SAT)

Foto 1 e 2: Nel 1876, la Konkordiahütte in Cantone Berna, Svizzera (2850 m), viene costruita lungo il margine laterale orientale dell'Aletschgletscher. Da allora il ghiacciaio si abbassa progressivamente, perdendo oltre 100 metri di spessore. Negli anni viene dunque approntato un accesso artificiale con la realizzazione di una scala metallica di circa 500 gradini (foto Luca Gibello)